Terzo Settore, il Cndcec indica le criticità della riforma
Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha pubblicato una circolare con l’indicazione di alcune criticità che caratterizzano la riforma del Terzo Settore, contenuta nel D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117; nel documento si sottolineano inoltre le ultime vicende che hanno accompagnato l’iter di attuazione del suddetto provvedimento, con particolare attenzione all’emanazione del decreto sulle attività “diverse”, di cui all’art. 6 del medeismo D.Lgs. n. 117/2017.
Da segnalare inoltre l’approvazione dello schema di decreto sul bilancio sociale e l’accordo tra il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali con Unioncamere, per effetto del quale è stata affidata a Infocamere – società telematica delle Camere di commercio – la gestione informatica del Registro unico nazionale del Terzo Settore.
Per quanto riguarda in particolare le attività “diverse”, queste ultime possono essere esercitate dagli enti del Terzo Settore a condizione che l’atto costitutivo o lo statuto lo consentano e siano secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale.
A tal fine si tenga presente che:
- le attività “diverse” si considerano strumentali rispetto alle attività di interesse generale se sono esercitate dall’ente del Terzo Settore “per la realizzazione, in via esclusiva, delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale” perseguite dall’ente medesimo. Tale regola si applica a prescindere dall’oggetto di tali attività “diverse”. Ciò significa che la natura strumentale delle attività “diverse” non è conseguenza del tipo di bene o servizio prodotto o scambiato, ma solo del loro essere finalizzate a supportare, sostenere, promuovere o agevolare il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente;
- le attività “diverse” si considerano secondarie rispetto alle attività di interesse generale se, in cascun esercizio:
- i relativi ricavi non sono superiori al 30 per cento delle entrate complessive dell’ente del Terzo Settore, oppure
- i relativi ricavi non sono superiori al 66 per cento dei costi complessivi dell’ente stesso. I due limiti sono alternativi tra loro, essendo sufficiente che sia rispettato uno dei due limiti affinché lo svolgimento di attività “diverse” sia legittimo.