Tarsu, il Comune può stabilire una tariffa superiore per gli alberghi rispetto alle abitazioni
In materia di Tarsu, è legittima la delibera comunale che – in sede di approvazione del regolamento – distingue la categoria degli esercizi alberghieri da quella delle civili abitazioni, prevedendo per la prima una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime: lo ha ribadito la quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione con l’ordinanza 10 gennaio 2020, n. 11218, depositata lo scorso 11 giugno. Per i giudici di legittimità, infatti, la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce un dato di comune esperienza, che emerge da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, ed è assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal D.Lgs. 22/1997 (in tal senso, Cass. nn. 8308/2018, 24072/2016, 22248/2016, 22116/2016, 22115/2016, 16175/2016, 14758/2015, 302/2010, 5722/2007 e 33545/2019).
Si consideri inoltre che la differenziazione della tariffa degli esercizi alberghieri da quella delle civili abitazioni, operata dai Comuni, è stata considerata legittima dalla stessa Suprema Corte anche alla luce della conformità al principio unionale “chi inquina paga”, espresso dall’art. 15 della Direttiva 2006/12/CE e dall’art. 14 della Direttiva 2008/98/CE, che, nell’osservanza del principio di proporzionalità, consentono al diritto nazionale di differenziare il calcolo della tassa di smaltimento per categorie di utenti (Cass. 16 giugno 2017, n. 15041).