Sulla tassazione delle stock options la Cassazione conferma la propria linea
Secondo un consolidato orientamento assunto presso la giurisprudenza di legittimità, l’art. 5 della Legge n. 448/2001 – cui rinvia l’art. 11-quaterdecies, comma 4 , del D.L. n. 203/2005, convertito con modifiche dalla Legge n. 248/2005 – nel consentire al contribuente la rideterminazione del valore di acquisto delle partecipazioni (qualificate e non qualificate), previo versamento di un’imposta sostitutiva sulla rivalutazione, disciplina le plusvalenze e minusvalenze derivanti, in caso di cessione a titolo oneroso, da redditi diversi di natura finanziaria di cui all’art. 67 del Tuir, con la conseguenza che non è applicabile alle stock options correlate all’imposizione di plusvalenze imputabili a redditi di lavoro dipendente (Cass. 1° marzo 2019, n. 6118 , 20 settembre 2019, n. 24269 e 2 luglio 2019, n. 17695).
Per gli Ermellini, inoltre, la disposizione agevolativa che esclude l’imputazione della plusvalenza per le stock options ai sensi dell’art. 51, comma 2 , lettera g-bis), del Tuir, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 262/2006, convertito con modifiche dalla Legge n. 286/2006, non soggiace all’applicazione dell’art. 3, comma 1, della Legge n. 212/2000, relativo ai soli tributi periodici destinati a durare nel tempo, avendo la novella inciso meramente sulle condizioni al verificarsi delle quali può trovare applicazione l’imposta sostitutiva, avente natura istantanea. Di conseguenza, tale disciplina non contrasta con i principi dell’affidamento e di certezza giuridica, dovendosi escludere che al momento dell’offerta del diritto di opzione il contribuente potesse avere certezza che il valore delle azioni si sarebbe incrementato e potesse, di conseguenza, fare affidamento sull’immutabilità delle previsioni agevolative.
Tali principi hanno perimetrato in maniera inequivocabile la disciplina di tassazione applicabile alle stock options assegnate a lavoratori dipendenti dal datore di lavoro, continuando il solco della giurisprudenza precedente che, a sua volta, aveva non solo evidenziato la necessità di distinguere i due momenti della assegnazione del diritto di opzione (quello di esercizio dello stesso e, dunque, quello dell’effettiva assegnazione dei rispettivi titoli), ma aveva già ritenuto – sul presupposto che le azioni entrano a far parte del patrimonio del dipendente solo nel momento in cui l’opzione venga esercitata o ceduta – che la disciplina applicabile andasse individuata in quella vigente al momento di tale esercizio, indipendentemente dal momento in cui fosse stata offerta l’opzione (Cass. 20 giugno 2018, n. 16227 , 12 aprile 2017, n. 9465 , 17 luglio 2018, n. 18917 ; con riferimento alla disciplina vigente in epoca anteriore alle modifiche intervenute nel 2006, Cass. 3 giugno 2015, n. 11413 e Cass. 2 luglio 2019, n. 17695 ).
Tali principi sono stati ora ribaditi dalla quinta sezione tributaria della Suprema Corte con l’ordinanza 6 ottobre 2020, n. 29891 , depositata lo scorso 30 dicembre.