Subappalti, la Corte Ue boccia nuovamente la normativa italiana
Con la sentenza 27 novembre 2019, causa C-402/18, la quinta sezione della Corte di Giustizia Ue ha ribadito la non conformità alla Direttiva 31 marzo 2004, n. 2004/18/CE dell’art. 118 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nella parte in cui prevede il limite quantitativo del 30 per cento alle prestazioni subappaltabili.
Per i giudici comunitari, infatti, tale limite è di per sé inidoneo al raggiungimento dello scopo di contrastare le infiltrazioni criminali nel sistema degli appalti pubblici.
Con la medesima pronuncia, inoltre, la Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità della citata disciplina nella parte in cui vieta che i prezzi applicabili alle prestazioni affidate in subappalto siano ridotti di oltre il 20 per cento rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione: si tratterebbe infatti di strumento che eccede rispetto alla necessità di assicurare la tutela salariale dei lavoratori impiegati nel subappalto.
Si ricorda che – in merito alla portata dell’art. 105, comma 2, terzo periodo, del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) – con la sentenza 26 settembre 2019, causa C-63/18, la quinta sezione della Corte di Giustizia Ue aveva affermato che detta norma non è compatibile con l’ordinamento comunitario; la Direttiva Ue 26 febbraio 2014, n. 2014/24/UE, dettata in materia di appalti pubblici, non consente infatti ai singoli Stati di emanare norme che limitano al 30 per cento la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a soggetti terzi.