Si ha errore di fatto quando il giudice suppone inesistente un documento che invece è stato prodotto
L’affermazione, contenuta in una sentenza, circa l’inesistenza, nei fascicoli processuali (d’ufficio o di parte) di un documento che invece risulti esservi incontestabilmente inserito, non si concreta in un errore di giudizio, bensì in una mera svista di carattere materiale, costituente errore di fatto e, quindi, motivo di revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4, del codice di procedura civile (e non di ricorso per cassazione): lo ha ribadito la quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione con l’ordinanza 18 novembre 2020, n. 2580, depositata lo scorso 4 febbraio (in tal senso si segnala anche Cass. 28 settembre 2016, n. 19174).
Tale tesi è in linea con un consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’errore di fatto revocatorio di cui al richiamato art. 395, n. 4, del codice di procedura civile, essendo un errore di percezione del giudice risultante dagli atti o documenti della causa, è configurabile nel caso in cui il giudice supponga inesistente un documento ritualmente prodotto ed effettivamente esistente (Cass. 25 maggio 2011, n. 11453).