Se la divisione dà luogo a conguaglio, la parte eccedente è fiscalmente equiparata alla vendita
Ai fini dell’imposta di registro, l’atto di divisione rientra nella categoria degli “atti aventi natura dichiarativa relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura”, e dev’essere registrato in termine fisso, con applicazione dell’aliquota dell’1 per cento applicata al valore della massa comune (art. 3 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131): lo ha precisato l’Agenzia delle Entrate con la Risposta all’istanza di interpello 6 novembre 2020, n. 534 (tale conclusione è in linea con la Circolare 29 maggio 2013, n. 18/E, par. 2.2.1).
Inoltre:
- qualora l’atto di divisione dia luogo a un conguaglio, oppure a un condividente siano stati attribuiti beni per un valore eccedente quello della quota spettante e limitatamente alla parte in eccedenza, si applica l’art. 34 del citato D.P.R. n. 131/1986, secondo cui limitatamente alla parte eccedente, la divisione è considerata una vendita;
- i conguagli superiori al 5 per cento del valore della quota di diritto, sono soggetti all’imposta di registro con l’aliquota stabilita per i trasferimenti.
Si ricorda che, con lo studio n. 183-2019/T, approvato il 12 dicembre 2019, anche il Consiglio nazionale del notariato aveva affermato la natura dichiarativa della divisione ai fini dell’imposizione indiretta. Non si tratterebbe quindi di un negozio avente effetti traslativo-costitutivi, con la conseguenza che a tale atto si rende applicabile l’imposta di registro all’1%, di cui all’art. 3 della tariffa, Parte I del richiamato D.P.R. n. 131/1986.
Con la sentenza n. 25021/19, peraltro, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione avevano qualificato la divisione ereditaria come un atto ad efficacia traslativa e non dichiarativa. Con la sentenza 11 novembre 2016, n. 23043, gli Ermellini affermarono che la sentenza che, nel disporre la divisione della comunione, pone a carico di uno dei condividenti l’obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di conguaglio, persegue il mero effetto di perequazione del valore delle rispettive quote, nell’ambito dell’attuazione del diritto potestativo delle parti allo scioglimento della comunione.
Pertanto, l’adempimento di tale obbligo, al contrario di quanto avviene nella sentenza costitutiva emessa ex art. 2932 c.c. per l’adempimento in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto, ove il pagamento del prezzo ad opera della parte acquirente costituisce adempimento della controprestazione e, se non avviene, determina l’inefficacia della sentenza, non costituisce condizione di efficacia della sentenza di divisione e può essere solo perseguito dagli altri condividenti con i normali mezzi di soddisfazione del credito, restando ferma la statuizione di divisione dei beni (Cass. n. 22833 del 24 ottobre 2006).
Pertanto, non costituendo il pagamento del conguaglio condizione, tantomeno meramente potestativa, di efficacia della sentenza di divisione, essa va assoggettata ad imposta proporzionale di registro, ipotecaria e di trascrizione.