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Ritenute negli appalti, chiarimenti sui contratti “promiscui” stipulati da enti non commerciali

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L’art. 17-bis del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241 – inserito dall’art. 4 del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito con modifiche dalla Legge 19 dicembre 2019, n. 157 – ha introdotto a carico dei committenti di opere o servizi di importo complessivo annuo superiore a 200mila euro, “tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma”, l’obbligo di richiedere copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute “trattenute dall’impresa appaltatrice o affidataria e dalle imprese subappaltatrici ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio. Il versamento di tali ritenute è effettuato dall’impresa appaltatrice o affidataria e dall’impresa subappaltatrice, con distinte deleghe per ciascun committente, senza possibilità di compensazione”.

Inoltre, la norma prevede che – al fine di consentire al committente il riscontro dell’ammontare complessivo degli importi versati dalle imprese – entro i 5 giorni lavorativi successivi alla scadenza del versamento di cui all’art. 18, comma 1, l’impresa appaltatrice o affidataria e le imprese subappaltatrici trasmettano al committente e, per le imprese subappaltatrici, anche all’impresa appaltatrice, le deleghe di cui sopra, nonché un elenco nominativo di tutti i lavoratori, identificati mediante codice fiscale, impiegati nel mese precedente direttamente nell’esecuzione di opere o servizi affidati dal committente, con il dettaglio delle ore di lavoro prestate da ciascun percipiente in esecuzione dell’opera o del servizio affidato, l’ammontare della retribuzione corrisposta al dipendente collegata a tale prestazione e il dettaglio delle ritenute fiscali eseguite nel mese precedente nei confronti di tale lavoratore, con separata indicazione di quelle relative alla prestazione affidata dal committente. Tale disciplina è applicata a decorrere dal 1° gennaio 2020.

Successivamente, con la Circolare 12 febbraio 2020, n. 1/E, fu precisato che gli enti non commerciali (pubblici e privati) non sono tenuti ad applicare l’art. 17-bis limitatamente all’attività istituzionale di natura non commerciale svolta: “si ritiene, infatti, corretto – ha aggiunto l’Agenzia – che detta previsione debba applicarsi anche nei confronti dei soggetti pubblici quali ad esempio gli enti territoriali”.

Ora, con la Risposta all’istanza di interpello 21 ottobre 2020, n. 492, l’Agenzia ha fornito chiarimenti in merito al caso dei contratti “promiscui”, cioè di contratti di appalto riferiti all’acquisto di servizi generali, comuni sia all’attività istituzionale sia a quella commerciale. Nella situazione descritta, ai fini del calcolo della soglia di 200mila euro annui, l’art. 17-bis si applica (con riferimento all’intero contratto) qualora il rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi relativi all’attività commerciale (numeratore) e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi (denominatore), moltiplicato per il costo annuo pattuito per l’affidamento all’impresa del compimento di servizi generali funzionali sia all’attività istituzionale sia a quella commerciale, risulti di importo complessivo superiore alla predetta soglia. Tale rapporto dev’essere determinato con riferimento ai ricavi del periodo d’imposta precedente a quello di inizio di esecuzione del contratto promiscuo.

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