Per la plusvalenza Irpef non è sufficiente il maggior valore accertato per altri tributi
Ai sensi dell’art. 5, comma 3, del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro o delle imposte ipotecaria e catastale. In applicazione di tale disposizione – che, quale norma di interpretazione autentica, ha efficacia retroattiva – l’Amministrazione finanziaria non può più procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini di altra imposta commisurata al valore del bene.
La base imponibile ai fini Irpef, infatti, è data non dal valore del bene, ma dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo. Al riguardo la Corte di Cassazione (sez. V tributaria, ordinanza 19 settembre 2018, n. 28400 , depositata lo scorso 7 novembre) ha affermato che il riferimento contenuto nella citata norma all’imposta di registro e alle imposte ipotecarie e catastali “svolge una funzione esemplificativa, volta esclusivamente a rimarcare la ratio della norma incentrata sulla non assimilabilità della differente base impositiva (valore) rispetto a quella prevista per l’IRPEF (corrispettivo)”; in senso analogo i giudici di legittimità si erano già espressi con le pronunce n. 19227/2017 e n. 12265/2017 .