Non imponibile lo “sconto d’uso” praticato dal datore di lavoro ai propri lavoratori
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Se per la cessione di un bene da parte del datore di lavoro, il dipendente corrisponde un determinato importo, il valore da assoggettare a tassazione è pari alla differenza tra il valore normale del bene ricevuto e le somme pagate. Di conseguenza, qualora il lavoratore corrisponda il valore normale del bene al netto degli “sconti d’uso”, l’importo corrispondente a tale sconto non è imponibile: lo ha affermato l’Agenzia delle Entrate con la Risposta all’istanza di interpello 25 marzo 2022, n. 158.
Al riguardo si precisa quanto segue:
- ai sensi dell’art. 9, comma 3, del Tuir, per “valore normale” si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle Camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso;
- per quanto riguarda gli “sconti d’uso”, l’Agenzia delle Entrate precisò che per i beni e servizi offerti dal datore di lavoro ai dipendenti, il loro valore normale di riferimento può essere costituito dal prezzo scontato che il fornitore pratica sulla base di apposite convenzioni ricorrenti nella prassi commerciale, compresa l’eventuale convenzione stipulata con il datore di lavoro (Risoluzione 29 marzo 2010, n. 26/E).
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