Locazioni, all’esame della Consulta la questione di legittimità costituzionale del “termine di grazia”
Ai sensi dell’art. 55 della Legge 27 luglio 1978, n. 392, la morosità del conduttore nel pagamento dei canoni o degli oneri comunque dovuti può essere sanata in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso di un quadriennio se il conduttore alla prima udienza versa l’importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice.
Tale istituto (cosiddetto “termine di grazia”) – che prevede una sanatoria della morosità in sede giudiziale – subordina quindi l’esclusione della risoluzione del contratto di locazione al pagamento, entro il termine della prima udienza, dell’importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali.
La legittimità costituzionale della citata norma è stata messa in dubbio dal Tribunale di Modena con riferimento agli articoli 2, 3 e 111 della Costituzione: i dubbi riguardano in particolare le ipotesi in cui il conduttore moroso non paghi le spese processuali e/o paghi quasi per intero la somma dovuta per i canoni e, pertanto, tenendo conto dell’entità del debito residuo, la caducazione del rapporto contrattuale possa rappresentare un sacrificio sproporzionato del suo interesse abitativo e, dunque, al mantenimento del contratto.
A parere dei giudici emiliani, l’automatismo caducatorio contrasterebbe con il dovere di solidarietà politica, economica e sociale, che impone alla parte del rapporto obbligatorio di considerare l’interesse della controparte nei limiti dell’apprezzabile sacrificio del proprio, nonché con il principio di ragionevolezza e con il principio del giusto processo.