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L’interdizione perpetua dai pubblici uffici non comporta il “congelamento” del reddito di cittadinanza

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La condanna definitiva alla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici non priva il condannato del diritto alla percezione del reddito di cittadinanza, posto che esso non è ricompreso nella nozione di “assegni (…) a carico dello Stato”, di cui quest’ultimo è privato ex art. 28, comma 2, n. 5), c.p.: la preclusione alla sua percezione, infatti, è espressamente prevista dall’art. 2, comma 1, lettera c-bis), del D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modifiche dalla Legge 28 marzo 2019, n. 26, in casi specifici, legati ad una precedente condanna per reati ostativi, divenuta definitiva nei 10 anni precedenti la richiesta: lo ha affermato la seconda sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza 5 luglio 2022, n. 38383, depositata lo scorso 12 ottobre.

Per i giudici di legittimità, inoltre:

  1. la natura afflittiva delle pene accessorie impone una interpretazione letterale delle relative norme, nel rispetto del principio di tassatività delle sanzioni penali, cosicché è dubbio che il beneficio economico in esame sia ricompreso nella nozione di “assegni”, considerato che esso viene erogato attraverso la “Carta Rdc” (art. 5, comma 6, D.L. n. 4/2019, caratterizzata dalla prevalente finalità di soddisfazione di bisogni primari mediante la copertura delle spese di acquisto;
  2. il reddito di cittadinanza, inoltre, ha natura e funzione ibride, come si evince dallo stesso incipit della norma (art. 1, comma 1), laddove viene definito quale “misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro”;
  3. l’art. 2, comma 1, lettera c-bis, prevede casi specifici ostativi all’ammissione al beneficio, legati alla commissione di gravi reati;
  4. con questa disposizione, pertanto, il Legislatore ha derogato alla previsione generale dell’art. 28, comma 2, c.p., laddove stabilisce che l’interdizione perpetua dai pubblici uffici priva il condannato di una serie di diritti, “salvo che dalla legge sia altrimenti disposto”.

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