L’errata contabilizzazione delle fatture legittima l’accertamento analitico-induttivo
L’errata contabilizzazione delle fatture rende parzialmente inattendibili i dati risultanti dalle scritture contabili in relazione all’anno oggetto di verifica e legittima pertanto la rettifica del reddito d’impresa con accertamento analitico-induttivo, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, mediante l’applicazione della percentuale di ricarico, stabilita nella stessa misura di quella indicata dal contribuente con riferimento allo studio di settore previsto per la sua attività: lo ha precisato la Corte di Cassazione con l’ordinanza 5 settembre 2022, n. 26150.
Si ricorda che, con specifico riferimento alla percentuale di ricarico, la Suprema Corte ha precisato che in materia di accertamento analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, le percentuali di ricarico, accertate con riferimento a un determinato anno fiscale, costituiscono validi elementi indiziari, da utilizzare secondo i criteri di razionalità e prudenza, per ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi, atteso che, in base all’esperienza, non si tratta di una variabile occasionale, per cui incombe sul contribuente l’onere di dimostrare i mutamenti del mercato o della propria attività che possano giustificare in altri periodi l’applicazione di percentuali diverse (Cass. 29 dicembre 2016, n. 27330).
È stato inoltre affermato che:
- il Fisco può ritenere inattendibile la contabilità caratterizzata da contraddittorietà intrinseca tra la data di costituzione della società, il patrimonio disponibile, il saldo del prezzo di acquisto di un immobile, l’assenza di tracciabilità del pagamento, nonché l’iscrizione a bilancio come debito verso la venditrice della somma risultante come già pagatale (Cass. 23 gennaio 2020, n. 1479);
- l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con il quale il Fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di importo rilevante, è consentito pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (cfr., per tutte, Cass. 24 settembre 2014, n. 20060).