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Le Entrate confermano che IVIE e IVAFE non sono imposte dirette

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L’Imposta sul Valore degli Immobili situati all’Estero (IVIE) e l’Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie detenute all’Estero (IVAFE) – disciplinate dall’art. 19, commi da 13 a 22, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 – sono tributi che non hanno natura “diretta”, ancorché la relativa liquidazione avviene attraverso la presentazione della dichiarazione dei redditi: lo ha precisato l’Agenzia delle Entrate con la Risposta all’istanza di interpello 3 marzo 2022, n. 93, con cui ha fornito chiarimenti in merito agli obblighi di monitoraggio fiscale e pagamento di IVIE e IVAFE per i membri di organizzazioni intergovernative.

Secondo le Entrate, le imposte del caso esaminato “mirano ad equiparare il trattamento fiscale relativo al possesso all’estero di immobili e attività di natura finanziaria da parte di soggetti residenti nel territorio dello Stato con quello previsto per gli immobili e le attività finanziarie detenute in Italia” e, di conseguenza, non avrebbero natura diretta e non rientrerebbero nel regime di esenzione previsto dall’accordo firmato tra Oig e Italia. Pertanto, poichè l’istante ha dimora abituale e sede dei propri affari ed interessi economici e sociali nel nostro Paese per la maggior parte del periodo d’imposta, già a partire dal 2020, egli dovrà considerarsi fiscalmente residente in Italia e, pertanto, soggetto ad imposizione per tutti gli altri redditi non ricadenti nel regime di esenzione, nonché all’obbligo di assolvere l’Ivie e l’Ivafe, presentando la dichiarazione Redditi per le persone fisiche, con la compilazione del quadro RW, tardivamente per l’anno d’imposta 2020 entro il 28 febbraio 2022.

In tale documento di prassi è stato inoltre rappresentato che, tenuto conto che ai fini del versamento, della liquidazione, dell’accertamento, della riscossione, delle sanzioni e dei rimborsi e del contenzioso dell’IVIE e dell’IVAFE, si applicano le norme dettate per le imposte sui redditi, si rende applicabile l’art. 2, comma 7, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322. Per effetto di tale norma, sono considerate valide le dichiarazioni presentate entro 90 giorni dalla scadenza del termine, salva restando l’applicazione delle sanzioni amministrative per il ritardo. Le dichiarazioni presentate con un ritardo superiore a 90 giorni si considerano omesse, ma costituiscono comunque titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta. Per le sanzioni e il ravvedimento riguardanti le violazioni commesse si richiamano i decreti legislativi 18 dicembre 1997, nn. 471 e 472, nonché la Risoluzione 24 dicembre 2020, n. 82/E.

Si ricorda che, attraverso un’apposita modifica dell’art. 19 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, l’art. 1, commi 710 e 711, della Legge di bilancio 2020 (Legge 27 dicembre 2019, n. 160), ha ampliato i soggetti tenuti all’applicazione dell’IVIE e dell’IVAFE. Prima di questo intervento normativo, le imposte patrimoniali in argomento erano dovute solo dalle persone fisiche residenti. A partire dal 1° gennaio 2020, invece, esse devono essere versate:

  • dalle persone fisiche (anche imprenditori e lavoratori autonomi);
  • dagli enti non commerciali, tra cui anche i trust e le fondazioni;
  • dalle società semplici e dagli enti alle stesse equiparati (ex art. 5 del Tuir).

Dal 2020, sono soggetti passivi di tali imposte, oltre alle persone fisiche, anche gli enti non commerciali e le società semplici, anche le società in nome collettivo e in accomandita semplice, residenti in Italia, che sono tenute agli obblighi di dichiarazione per gli investimenti e le attività.

 

Risposta_93_03.03.2022

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