Le condizioni per non procedere alla contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione
Ai sensi dell’art. 220, n. 2), lettera b), del Codice doganale comunitario, le autorità competenti non procedono alla contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione solo qualora ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni:
- i dazi non siano stati riscossi a causa di un errore “attivo” delle autorità competenti;
- questo errore sia stato di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore in buona fede;
- quest’ultimo abbia rispettato tutte le prescrizioni relative alla sua dichiarazione in dogana (Corte di Giustizia Ue 12 luglio 1989, causa C-161/88, punti 15 e 16; 14 maggio 1996, cause C-153/94 e C-204/94, punto 83; 3 marzo 2005, causa C-499/03, punto 30; 18 ottobre 2007, causa C-173/06, punto 30; 16 maggio 2017, causa C-47/16, punto 24: in tal senso anche Cass. 16 ottobre 2006, n. 22141).
Tale principio è stato ora confermato dalla quinta sezione tributaria della Suprema Corte con la sentenza 23 gennaio 2019, n. 1850, depositata lo scorso 28 gennaio.
Nell’occasione, i giudici di legittimità hanno inoltre ricordato che, qualora venga accertata in sede di controllo la falsità o anche solo la non corrispondenza al vero dei certificati di origine della merce (situazione che abilita l’autorità doganale a procedere alla contabilizzazione a posteriori dei maggiori dazi dovuti), l’esimente della buona fede, che esenta l’importatore da tale maggiore imposizione ex art. 220 del citato codice, prescinde dallo stato soggettivo dell’importatore, ossia dalla effettiva consapevolezza circa la veridicità delle informazioni fornite dall’esportatore alle autorità del proprio Stato.
Diversamente, è onere del contribuente dimostrare di avere agito secondo uno standard oggettivo di diligenza qualificata, richiesta in ragione dell’attività professionale di importatore svolta (ex art. 1176, comma 2, c.c.) per verificare la ricorrenza delle condizioni per il trattamento preferenziale, mediante un controllo sull’esattezza delle informazioni rese dall’esportatore (Cass. 23 maggio 2018, n. 12719, e 15 marzo 2013, n. 6621). Se l’importatore prova l’uso della diligenza professionale richiesta, può considerarsi provato il fatto impeditivo della buona fede del debitore doganale (importatore), con preclusione del recupero dei maggiori diritti di confine nei suoi confronti.
Di conseguenza, se il rilascio del certificato di origine sia dovuto a un errore delle autorità doganali occorre accertare che tale errore non fosse, secondo la diligenza professionale richiesta all’importatore, ragionevolmente riconoscibile ed è onere di questi provare, oltre il rispetto delle norme, sia l’esistenza di questo errore da parte dell’autorità doganale competente (cosiddetto “errore attivo”, riconducibile esclusivamente al comportamento di questa), sia la non riconoscibilità dello stesso secondo standard obiettivi di diligenza (Cass. 14 marzo 2012, n. 4022).