Le condizioni per considerare non commerciale la gestione del ristorante dell’ente no profit
Secondo un consolidato orientamento assunto presso la giurisprudenza di legittimità, l’attività si considera non commerciale solo se è diversa da quelle tipicamente costituenti oggetto d’impresa previste dall’art. 2195 del codice civile.
Sotto il profilo fiscale, inoltre, sono non commerciali le attività che, pur non rientrando tra quelle tipicamente d’impresa, sono in ogni caso prive dei requisiti dell’abitualità e della professionalità.
Alla luce di tali considerazioni, è stato affermato che:
- la gestione di un ristorante o di una pizzeria da parte di un ente non lucrativo può essere qualificata come attività non commerciale solo ove sia strumentale ai fini istituzionali dell’ente e svolta esclusivamente in favore degli associati (in tal senso si richiama la pronuncia della Corte di Cassazione n. 796/2018);
- l’esercizio di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie da parte di enti pubblici istituiti esclusivamente a tal fine non costituisce esercizio di attività commerciale (Cass. n. 4163/2018, emanata sulla base del disposto dell’art. 88, comma 2, del Tuir);
- in caso di avvicendamento nella carica sociale di un’associazione non riconosciuta, ai fini fiscali il rappresentante legale subentrante non è esente da responsabilità solidale con l’ente, a nulla rilevando a tal fine la mancata ingerenza nella pregressa gestione dell’ente (Cass. n. 4478/2018).
Per i giudici di legittimità, quindi, ai fini dell’accertamento della responsabilità personale e solidale del legale rappresentante dell’associazione non riconosciuta con quest’ultima, occorre tenere conto non solo della partecipazione di tale soggetto all’attività dell’ente, ma anche del corretto adempimento degli obblighi tributari incombenti sul medesimo.