L’annullamento in via di autotutela dell’atto impositivo comporta l’estinzione del giudizio
Nell’ambito del processo tributario, la causa di estinzione del giudizio prevista dall’art. 46 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per cessazione della materia del contendere, in conseguenza dell’annullamento in via di autotutela dell’atto recante la pretesa fiscale, dev’essere dichiarata con sentenza che operi alla stregua di cassazione senza rinvio, in quanto l’avvenuta composizione della controversia, per il venir meno di ragioni di contrasto fra le parti, impone la rimozione delle sentenze emesse non più attuali, perché inidonee a regolare il rapporto fra le parti: lo ha precisato la quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione con l’ordinanza 7 ottobre 2020, n. 27405, depositata lo scorso 1° dicembre (in tal senso si segnalano anche Cass. 9 settembre 2016, n. 17817 , 18 aprile 2017, n. 9753 e 11 aprile 2019, n. 10178 ).
Si ricorda che il primo comma del richiamato art. 46 del D.Lgs. 546/92 prevede che il giudizio si estingua, in tutto o in parte, a seguito della cessazione della materia del contendere. Si tratta delle ipotesi in cui, dopo l’instaurazione del giudizio, si verifica una situazione che elimina la posizione di contrasto tra le parti.
L’estinzione è dichiarata dal Presidente di sezione con decreto reclamabile presso la Commissione medesima oppure dalla Commissione con la sentenza che definisce il giudizio. Tra le ipotesi che possono venire in considerazione rientrano la definizione agevolata della controversia, la conciliazione oppure l’annullamento o la revoca dell’atto da parte dell’Ufficio.