L’Agenzia delle Entrate non è vincolata dalle proprie circolari
In applicazione del principio di tutela dell’affidamento – sancito dall’art. 10, comma 2, dello Statuto del contribuente (Legge 27 luglio 2000, n. 212) – la Corte di Cassazione ritiene da tempo che le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti e obblighi; di conseguenza, qualora il contribuente si sia conformato a un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria (in tal senso si richiamano le pronunce della Corte di Cassazione 19 maggio 2017, n. 12635, 18 maggio 2016, n. 10195, 9 marzo 2012, n. 3757 e 14 febbraio 2002, n. 2133).
In tale contesto si segnala anche la pronuncia delle Sezioni Unite 2 novembre 2007, n. 23031, secondo cui “la circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l’interpretazione adottata. Ciò è tanto vero che si è posto il problema della eventuale tutela del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo (interpretativo) adottato dall’amministrazione e si è escluso che tale tutela sia possibile anche sotto il profilo dell’affidamento, stante la evidente collisione che si determinerebbe con il principio – coniugato secondo un diverso lessico, ma riferito a un unico concetto – di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta. Non si può, al riguardo, non concordare con quella dottrina secondo la quale ammettere che l’amministrazione, quando esprime opinioni interpretative (ancorché prive di fondamento nella legge), crea vincoli per sé e i Giudici tributari, equivale a riconoscere all’amministrazione stessa un potere normativo che, a tacer d’altro, è in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva relativa di legge codificato dall’art. 23 Cost. Tutt’al più, come è stato pure affermato, potrebbe ammettersi che il mutamento da parte dell’amministrazione di un precedente indirizzo (interpretativo) sul quale il contribuente possa aver fatto affidamento, eventualmente rilevi (o possa essere valutato) ai fini dell’applicazione delle sanzioni e della richiesta degli interessi sulle somme dovute a titolo di imposta”.
La giurisprudenza richiamata è stata ora ribadita dalla quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione con la sentenza 12 settembre 2019, n. 29172, depositata lo scorso 12 novembre.