La regolarità della contabilità e dei pagamenti non basta per superare la presunzione di operazione inesistente
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Con l’ordinanza 3 ottobre 2018, n. 21800, depositata lo scorso 29 agosto, la quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione ha confermato l’orientamento assunto nel tempo dalla giurisprudenza di legittimità in materia di presunzioni di operazioni soggettivamente inesistenti. È stato infatti sottolineato che, sotto il profilo dell’Iva:
- l’Amministrazione finanziaria la quale contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva (purché sulla base di elementi oggettivi e specifici) che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente;
- qualora il Fisco assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto;
- a tal fine non rilevano né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (in tal senso si richiamano le pronunce della Cassazione 20 aprile 2018, n. 9851 e 24 agosto 2018, n. 21104).
Con riferimento all’onere probatorio posto in capo al contribuente, è stato inoltre affermato che:
- non è sufficiente “la mera regolarità della documentazione contabile e la dimostrazione che la merce sia stata consegnata o il corrispettivo effettivamente pagato, trattandosi di circostanze non concludenti” (Cass. 9 settembre 2016, n. 17818);
- la regolarità delle scritture e le evidenze contabili del pagamento, sono “dati e circostanze facilmente falsificabili” (Cass. 15 maggio 2018, n. 11873).
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