La Cassazione traccia il perimetro della “irregolarità” della dichiarazione doganale
In materia di dazi doganali, la sanzione prevista dall’art. 303, comma 1, del Testo Unico in materia doganale (D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43) per irregolare dichiarazione doganale relativa a “qualità, quantità e valore” delle merci, si applica anche in caso di origine non veritiera di queste ultime, costituendo detti termini normativi un’esemplificazione dell’elemento oggettivo destinato all’importazione considerato rilevante ai fini del pagamento del tributo: lo ha affermato la quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione con l’ordinanza 29 maggio 2020, n. 10227, riportata nella Rassegna mensile di maggio della giurisprudenza civile di legittimità, predisposta dall’Ufficio del Massimario e Ruolo della medesima Corte. Di conseguenza – hanno sottolineato gli Ermellini – nel concetto di “qualità” di una merce rientra qualsiasi caratteristica, proprietà o condizione che serva a determinarne la natura e a distinguerla da altre simili, ivi compresa l’origine o la provenienza, in quanto elementi sintomatici delle specificità del prodotto, la cui esclusione dall’oggetto della dichiarazione equivarrebbe a vanificare un tratto fondamentale del sistema daziario di matrice comunitaria.
Si ricorda che, ai sensi del citato primo comma dell’art. 303 del D.P.R. 43/1973, qualora le dichiarazioni relative alla qualità, alla quantità e al valore delle merci destinate all’importazione definitiva, al deposito o alla spedizione ad altra dogana con bolletta di cauzione, non corrispondano all’accertamento, in capo al dichiarante si applica una sanzione amministrativa da 103 a 516 euro, a meno che l’inesatta indicazione del valore non abbia comportato la rideterminazione dei diritti di confine: in quest’ultimo caso, infatti, si rendono applicabili le sanzioni indicate al terzo comma del medesimo articolo.