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La Cassazione conferma l’orientamento restrittivo sulla buona fede dell’importatore

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Per la Corte di Cassazione, in materia di tributi doganali, l’applicazione del regime di esenzione o riduzione daziaria presuppone la regolarità formale e sostanziale della documentazione relativa all’origine e/o alla provenienza della merce.

A tal fine, per “origine” si intende il luogo dove la merce è stata realizzata e per “provenienza” il luogo dal quale essa giunge o dove è stata oggetto di lavorazione o trasformazione (non essendo sufficienti le operazioni di spolveratura, lavaggio, verniciatura, selezione, riduzione a pezzi, ecc.).

Di conseguenza, considerato che un certificato di origine “ignota” va considerato come “inesatto”, le Autorità doganali, qualora constatino la falsità dei certificati di origine e provenienza, devono procedere alla contabilizzazione “a posteriori” dei dazi doganali, salve le seguenti deroghe (che devono concorrere cumulativamente):

  1. riscossione dovuta ad errore delle autorità competenti (sia di quella alla quale spetta procedere al recupero sia di quella di rilascio del certificato preferenziale di esportazione);
  2. errore tale da non poter essere ragionevolmente riconosciuto dal debitore in buona fede, nonostante la sua esperienza professionale e diligenza, provocato da un comportamento “attivo” delle autorità che rilasciarono il certificato, non rientrandovi l’errore indotto da dichiarazioni inesatte rese dall’esportatore, salvo che le autorità di quel Paese fossero informate o dovessero sapere della inoperatività dell’esenzione;
  3. osservanza di tutte le disposizioni previste dalla normativa vigente per la dichiarazione in dogana (in tal senso, Cass. 2 marzo 2009, n. 4997).

Nel contesto sopra descritto, non può dirsi sussistente la buona fede dell’importatore qualora, sebbene abbia evidenti ragioni per dubitare dell’esattezza di un certificato di origine “modulo A”, egli si sia astenuto dall’informarsi, nella massima misura possibile, delle circostanze del rilascio di tale certificato per verificare se tali dubbi fossero giustificati (così si è espressa la Corte di Giustizia Ue con la pronuncia 16 marzo 2017, causa C-47/16, § 43).

I principi che precedono sono stati confermati dalla quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione con l’ordinanza 8 gennaio 2019, n. 11405, depositata lo scorso 30 aprile.

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