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La Cassazione conferma l’inapplicabilità dell’obbligo del contraddittorio per i tributi “non armonizzati”

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Con l’ordinanza 23 settembre 2020, n. 26974, depositata lo scorso 26 novembre, la quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui in materia di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre per quelli “non armonizzati” non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito.

Tale principio era stato affermato tra l’altro dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con la pronuncia 9 dicembre 2015, n. 24823. Nei casi in cui l’obbligo del contraddittorio è prescritto, la sua violazione comporta l’invalidità dell’atto, sempreché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa.

Si ricorda inoltre che la violazione del contraddittorio endoprocedimentale, ove anche l’accertamento riguardi tributi armonizzati, può costituire motivo di nullità dell’accertamento quando il contribuente provi che avrebbe potuto addurre elementi tali da indurre l’Ufficio ad una diversa azione accertatrice (Cass. 12 novembre 2020, n. 25512). Per i giudici di legittimità, quindi, con particolare riferimento ai tributi “armonizzati”, applicandosi direttamente la normativa comunitaria, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte del Fisco comporta in ogni caso l’invalidità dell’atto, purché il contribuente assolva in giudizio all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di tali ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede e al principio di lealtà processuale, “sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (così, Cass. 25 gennaio 2017, n. 1969, e 11 maggio 2018, n. 11560).

Per i tributi “non armonizzati”, invece, nella legislazione nazionale non si rinviene un analogo vincolo generalizzato e pertanto “esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito” (così le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con richiamata pronuncia 9 dicembre 2015, n. 24823; nello stesso senso, si segnala anche Cass. 29 ottobre 2018, n. 27421).

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