Iva, se non incassa non si versa
La riforma fiscale 2024 dà un grande respiro alle imprese italiane. Infatti non commette reato il manager che non ha versato l’Iva solo perché non ha incassato le fatture. La causa del debito con l’Erario non è a lui imputabile dal momento che non può rispondere delle inadempienze del cliente.
Il netto cambio di rotta lo ha segnato la terza sezione penale della Corte di cassazione che, con la sentenza 41238 dell’11 novembre 2024, ha accolto il ricorso di un manager che era stato condannato per non aver versato l’Iva.
Lui si è difeso sostenendo che non era riuscito a riscuotere il credito dall’amministrazione. Tanto è bastato agli Ermellini, anche alla luce della recente riforma, a rivedere vecchie e più rigide posizioni. In questi casi non c’è dolo quindi non c’è condanna.
Ad avviso del Collegio, la necessità di dar seguito a una diversa interpretazione delle norme, che impone di tenere adeguato conto delle deduzioni difensive concernenti la concreta impossibilità di far fronte ai versamenti dovuti, trova ormai un importante riscontro nel diritto positivo: il recente d.lgs. n. 87 del pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi”, intervenendo sull’art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000, ha introdotto (con il nuovo comma 3-bis) una ulteriore causa di non punibilità per i reati di cui agli artt. 10-bis e 10ter del medesimo decreto, “se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto.
Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi”. Per il Collegio di legittimità sbaglia la sentenza impugnata a ritenere del tutto irrilevanti obiezioni della difesa, poste in essere già in primo grado, concernenti il mancato incasso dell’Iva risultante dalle fatture dell’anno di imposta in contestazione, per via dell’inadempimento di un consistente numero di committenti (tra cui anche enti pubblici); così come irrilevante è stata considerata la vendita di un bene immobile personale.
A tali conclusioni, la Corte territoriale era pervenuta in espressa adesione all’indirizzo interpretativo di legittimità, da oggi superato, secondo cui «in tema di reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’emissione della fattura, se antecedente al pagamento del corrispettivo, espone il contribuente, per sua scelta, all’obbligo di versare comunque la relativa imposta sicché egli non può dedurre il mancato pagamento della fattura né lo sconto bancario della fattura quale causa di forza maggiore o di mancanza dell’elemento soggettivo».