Informazioni antimafia applicabili anche alle attività soggette a Scia
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Le informazioni antimafia si applicano anche ai provvedimenti autorizzatori e alle attività soggette a Scia: lo ha affermato la terza sezione del Consiglio di Stato con la sentenza 25 luglio 2019, n. 6057, depositata lo scorso 2 settembre. Al riguardo, in particolare, i giudici di Palazzo Spada hanno sottolineato quanto segue:
- ai sensi dell’art. 89, comma 2, lettera a), del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Codice Antimafia), l’autocertificazione, da parte dell’interessato, che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione di cui all’art. 67, riguarda anche “attività private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su segnalazione certificata di inizio attività da parte del privato alla pubblica amministrazione”;
- le attività soggette a Scia non sono esenti dai controlli antimafia e pertanto il Comune è tenuto a verificare che l’autocertificazione dell’interessato sia veridica e chiedere al Prefetto di emettere una comunicazione antimafia liberatoria oppure revocare la Scia in presenza di una informazione antimafia comunque comunicatagli o acquisita dal Prefetto;
- per il Consiglio di Stato, infatti, quest’ultimo è obbligato ad emettere una informazione antimafia, in luogo della comunicazione antimafia liberatoria richiesta dal Comune, laddove accerti la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’impresa, anche quando tale richiesta sia effettuata in ipotesi di Scia e/o durante i controlli che concernono le attività ad esse soggette;
- in tal senso si richiama altresì l’ordinanza 13 marzo 2019, n. 45, con la quale la Corte Costituzionale precisò che l’attività soggetta a Scia non è esente dalle verifiche di cui all’art. 19 della Legge 7 agosto 1990, n. 241, “cosicché la fase amministrativa che ad essa accede costituisce una – sia pur importante – parentesi puntualmente delimitata nei modi e nei tempi”.
Tali principi furono espressi in precedenza dal Consiglio di Stato con la sentenza 22 febbraio 2018, n. 1109 e dalla Corte Costituzionale con la sentenza 18 gennaio 2018, n. 4.
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