Il superamento del limite massimo dei crediti d’imposta compensabili equivale all’omesso versamento
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Il superamento del limite massimo dei crediti d’imposta compensabili equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, che è sanzionato dall’art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, così come accade ogniqualvolta sia utilizzata la compensazione in assenza dei relativi presupposti: lo ha affermato la quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione con l’ordinanza 12 febbraio 2020, n. 13396, depositata lo scorso 1° luglio (in tal senso anche Cass. 26 ottobre 2012, n. 18369, e 21 luglio 2017, n. 18080).
Per i giudici di legittimità, in particolare:
- la previsione di un limite massimo alla compensazione dei crediti non è in contrasto con la disciplina Ue, considerato che sulla questione è recentemente intervenuta la Corte di Giustizia, la quale ha affermato (Decisione 16 marzo 2017, causa C211/16) che l’art. 183, comma 1, della Direttiva 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE (Direttiva Iva) dev’essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che limita la compensazione di taluni debiti tributari con crediti Iva a un importo massimo determinato, per ogni periodo d’imposta, a condizione che l’ordinamento giuridico nazionale preveda comunque la possibilità per il soggetto passivo di recuperare tutto il credito Iva entro un termine “ragionevole”;
- l’errata utilizzazione della compensazione, in assenza dei relativi presupposti, non integra una violazione meramente formale poiché comporta il mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste e determina il ritardato incasso erariale (Cass. 22 ottobre 2019, n. 26926, 7 dicembre 2018, n. 31706/2018, 20 novembre 2015, n. 23755, 27 luglio 2016, n. 15612, 5 agosto 2016, n. 16504, 21 luglio 2017, n. 18080, e 22 febbraio 2017, n. 4555).
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