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Esonero Imu con requisiti rigidi

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La residenza anagrafica è decisiva per l’esenzione Imu prima casa. Non basta la sola dimora abituale. La dimora abituale di un coniuge in un immobile diverso da quello in cui l’altro coniuge ha fissato la residenza anagrafica, infatti, non gli consente di fruire dell’esenzione Imu per l’abitazione principale. Anche dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha riconosciuto il diritto all’agevolazione per entrambi i coniugi che vivono in luoghi diversi, per fruire del beneficio fiscale devono coesistere i requisiti imposti dalla norma di legge, che richiede la dimora abituale e la residenza anagrafica nei due immobili. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza 19684 del 17 luglio 2024.

Per i giudici di legittimità, i coniugi possono fissare residenze disgiunte e a tale possibilità non si oppongono le norme sulla “residenza familiare” o sulla “residenza comune degli uniti civilmente”.

Tuttavia, “pur in assenza di convivenza col nucleo familiare, il diritto del contribuente all’esenzione per l’abitazione principale postula il concorso imprescindibile di residenza anagrafica e dimora abituale nell’immobile per il quale essa è stata invocata”. Pertanto, correttamente, i giudici di merito hanno “escluso che l’esenzione potesse competere, per scelta della contribuente, in relazione ad immobile diverso da quello della residenza anagrafica”.

La disciplina dell’agevolazione Imu prima casa. E’ ormai pacifico che i coniugi abbiano diritto a una doppia esenzione in presenza dei requisiti di legge. Quindi, è imposta la coesistenza della dimora abituale e della residenza anagrafica nei diversi immobili utilizzati come abitazione principale, anche se ubicati in comuni diversi. Le coppie non devono essere discriminate a seconda che abbiano formalizzato o meno il loro rapporto con un matrimonio o un’unione civile.

Ai fini del riconoscimento dell’esenzione Imu deve essere assicurato lo stesso trattamento alle coppie sposate, a quelle che hanno costituito un’unione civile o a coloro che hanno un semplice rapporto di convivenza. Le coppie che hanno formalizzato il loro rapporto non vanno penalizzate e devono poter fruire due volte dell’esenzione dal pagamento dell’imposta municipale qualora abbiano per vari motivi fissato la residenza e la dimora in due luoghi diversi, così come già avviene per i conviventi di fatto. Questo importante principio è stato affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza 209/2022.

Secondo la Consulta, per avere diritto all’agevolazione per l’abitazione principale è sufficiente, al di là della formalizzazione del rapporto tra coppie, provare la destinazione del singolo immobile a dimora abituale e residenza di ciascuno. Per il giudice delle leggi, “nel nostro ordinamento costituzionale non possono trovare cittadinanza misure fiscali strutturate in modo da penalizzare coloro che, così formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio o di costituire una unione civile”.

Non può essere esclusa, ex lege, una doppia esenzione anche quando effettive esigenze, come quelle lavorative, impongano la scelta di residenze anagrafiche e dimore abituali diverse. E’ stata dichiarata incostituzionale anche l’ultima disposizione emanata, vale a dire l’articolo 5-decies del dl 146/2021, che ha riconosciuto il beneficio fiscale a un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare.

E’ stato abrogato l’articolo 5-decies sopra indicato che aveva modificato la previsione contenuta nell’articolo 1, comma 741, lettera b) della legge 160/2019, e aveva limitato l’esenzione a un solo immobile, a scelta dei coniugi, non separati né divorziati, qualora avessero utilizzato immobili ubicati in luoghi differenti. In seguito alla sentenza del giudice delle leggi può essere concessa una doppia esenzione, a prescindere dal fatto che gli immobili siano ubicati nello stesso comune o in comuni diversi.

Per abitazione principale s’intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Sono esenti gli immobili adibiti a prima casa, tranne quelli iscritti nelle categorie catastali A1, A8 e A9, vale a dire immobili di lusso, ville e castelli, per i quali il trattamento agevolato è limitato all’aliquota e alla detrazione. Il trattamento agevolato si estende anche alle pertinenze, che devono essere classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7.

I contrasti tra prassi e giurisprudenza. Le regole sull’esenzione della prima casa sono state da sempre dibattute. Da tempo esiste una divergenza di opinioni non solo all’interno della giurisprudenza, ma anche tra questa e il ministero dell’economia e delle finanze. Secondo il ministero il trattamento agevolato doveva essere riconosciuto nel caso in cui gli immobili utilizzati dai coniugi fossero ubicati in comuni diversi. I giudici di legittimità, invece, hanno assunto una posizione piuttosto rigida, sostenendo che l’agevolazione per l’abitazione principale non poteva essere affatto riconosciuta, neppure limitatamente a un solo immobile, se lo stesso non fosse stato destinato a residenza e dimora del nucleo familiare.

Ai coniugi non separati o divorziati l’esenzione non spettava né se gli immobili fossero ubicati nello stesso comune di residenza né se ubicati in un comune diverso. Per la Cassazione (ordinanza 17408/2021), il legislatore intendeva impedire che la fittizia assunzione della dimora o della residenza in altro luogo da parte di uno dei coniugi creasse la possibilità per il medesimo nucleo familiare di godere due volte del beneficio. La Corte costituzionale, invece, ha inteso impedire che qualora il rapporto affettivo sia regolato dalle disposizioni legali riguardanti il matrimonio o le unioni civili, ciò possa comportare la perdita del beneficio della doppia esenzione in presenza di residenze anagrafiche e dimore abituali differenti.

Naturalmente la decisione produce effetti, oltre che per il futuro, anche per il passato. Le amministrazioni comunali devono effettuare i rimborsi dell’imposta pagata dai contribuenti, che risulti non dovuta dopo la pronuncia della Consulta, ad eccezione dei casi in cui sia stato emanato un accertamento Imu divenuto definitivo per mancata impugnazione o sia stata emessa una sentenza passata in giudicato.

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