Edilizia residenziale pubblica, il Comune può intervenire sui limiti alla vendita
Ai sensi dell’art. 35 della Legge 22 ottobre 1971, n. 865, nel testo modificato dalla Legge 17 febbraio 1992, n. 179 sono stati ridotti da 20 a 5 anni – decorrenti dalla data del rilascio della licenza di abitabilità – i limiti inderogabili alla vendita successiva dell’immobile di edilizia residenziale pubblica sovvenzionato.
Tuttavia, con la convenzione il Comune, potendo pattuire che dopo i 5 anni l’immobile sia venduto solo a chi ha i requisiti per ottenere un alloggio agevolato, può di fatto introdurre limiti convenzionali alla successiva alienazione da parte dell’assegnatario.
Lo ha affermato la quarta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza 5 luglio 2018, n. 5300 , pubblicata lo scorso 10 settembre. Nell’occasione, i giudici amministrativi hanno sottolineato altresì che:
- la convenzione di edilizia residenziale pubblica, avente ad oggetto il diritto di proprietà, è uno strumento di regolazione urbanistica di lunga durata esteso anche alla fissazione, con modalità predeterminate, dell’iniziale prezzo di cessione;
- i vincoli all’alienazione contenuti nelle convenzioni stipulate anteriormente all’entrata in vigore della Legge 17 febbraio 1992, n. 179hanno piena efficacia nel primo quinquennio; sucessivamente possono essere rimossi, a titolo oneroso, previa stipula di un’ulteriore convenzione con il Comune;
- i vincoli all’alienazione contenuti nelle convenzioni ex art. 35 della citata Legge n. 865/1971, stipulate posteriormente all’entrata in vigore della Legge n. 179/1992, hanno efficacia limitata al primo quinquennio e, comunque, sono superabili “previa autorizzazione della regione, quando sussistano gravi, sopravvenuti e documentati motivi”.