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Conti correnti, per vincere la presunzione del Fisco occorre giustificare ogni movimentazione

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L’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, pone a carico del contribuente la presunzione secondo cui i prelevamenti e i versamenti operati sul conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa. Al fine di superare detta presunzione, non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività: lo ha affermato la quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione con la sentenza 11 febbraio 2020, n. 14274, depositata lo scorso 8 luglio (in tal senso si segnalano inoltre Cass. 11 marzo 2015, n. 4829, e 16 ottobre 2015, n. 20981). Per i giudici di legittimità, quindi, non è sufficiente dimostrare la non disponibilità esclusiva del conto ai fini dell’attività della società.

Con riferimento alle verifiche effettuate nei confronti di professionisti, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente non è sufficiente per quest’ultimo dimostrare genericamente di aver fatto affluire su un proprio conto corrente bancario, ai fini dell’esercizio della propria professione, somme affidategli da terzi in amministrazione: occorre infatti fornire “la prova analitica della inerenza alla sua attività di maneggio di danaro altrui di ogni movimentazione del conto” oppure della estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente irrilevanza fiscale (Cass. 13 giugno 2007, n. 1381911 marzo 2015, n. 4829, e 10 ottobre 2018, n. 25029).

Presso la Corte di Cassazione si è formato anche un orientamento secondo cui la mancanza di autorizzazione alle indagini bancarie rende le stesse illegittime qualora si sia tradotta in un concreto pregiudizio per il contribuente (a tal fine si richiama Cass. 18 aprile 2018, n. 9480).

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