Accertamento societario ed interesse ad agire
L’amministratore di fatto non è legittimato ad impugnare l’atto impositivo emesso a carico di una società di capitali, in quanto privo dell’interesse concreto ed attuale ad agire, previsto dall’art. 100 c.p.c.
Nell’ipotesi in cui il soggetto passivo dell’avviso di accertamento sia, infatti, la società e l’atto impositivo sia stato soltanto notificato al suo amministratore di fatto, quest’ultimo non può ricorrere innanzi alla Commissione tributaria in proprio e non quale legale rappresentante della società, con motivi di censura inerenti, peraltro, non l’atto impositivo, ma la qualità, a lui attribuita in sede di notifica dell’atto, di amministratore di fatto della medesima.
Tale statuizione è confermata dalla giurisprudenza di legittimità, dato che il soggetto individuato dall’A.F. quale rappresentante legale di una società non ha interesse giuridico ad agire in giudizio per impugnare l’avviso di accertamento emesso a carico della società. Infatti, l’interesse ad agire, quale condizione dell’azione, deve essere concreto, cioè effettivo, ed attuale. Nel caso di accertamento societario, invece, non sussiste un interesse immediato del rappresentante legale o del socio ad impugnare in proprio l’atto impositivo, semmai l’interesse all’impugnazione sorgerà solo in un momento successivo, ossia quando verrà notificato l’atto di riscossione (cfr. Cass. 17 gennaio 2013, n. 1100 e Cass. 7 giugno 2012, n. 9282, con specifico riferimento ad una persona fisica indicata erroneamente come legale rappresentante della società di capitali cui l’avviso è rivolto, nello stesso senso Cass. 20 marzo 2019, n. 7763). È dunque opinione dominante della giurisprudenza quella secondo cui l’accertamento notificato per conoscenza all’amministratore di fatto di una società a responsabilità limitata non è da questi impugnabile, per carenza di interesse ad agire previsto dall’art. 100 c.p.c., atteso che quest’ultimo deve scaturire da un fatto lesivo del diritto tale per cui senza processo ed esercizio della giurisprudenza l’attore soffrirebbe un danno.
Inoltre, le società di capitali godono di un’autonomia patrimoniale perfetta, per la quale l’attività svolta è imputabile direttamente ad esse. L’amministratore di fatto, invece, potrà impugnare solo gli atti di riscossione allo stesso notificati, in quanto potenzialmente lesivi della sua situazione patrimoniale.
Sulla base di tali considerazioni, riconosciuti dai giudici di legittimità (Cass. 20 marzo 2019, n. 7763; Cass. 17 gennaio 2013, n. 1100 e Cass. 26491 del 17 dicembre 2014), la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana ha confermato l’inammissibilità del ricorso, dichiarata in primo grado, per carenza di interesse ad agire da parte del ricorrente.