Contribuente tenuto a giustificare il rapporto esiguo tra utili e ricavi
In materia di accertamento induttivo dei redditi d’impresa – consentito dall’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili – l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio e dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da una presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori. Di conseguenza, null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo: lo ha affermato la quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione con l’ordinanza 25 febbraio 2020, n. 17360, depositata lo scorso 19 agosto (in tal senso si richiama altresì la sentenza della Suprema Corte 31 ottobre 2018, n. 27804).
Nella fattispecie esaminata dai giudici di legittimità, l’accertamento si basava sul rilievo dell’antieconomicità della gestione imprenditoriale, desunta dalla scarsa redditività dell’attività nell’annualità oggetto di accertamento, in quanto, a fronte di un fatturato di 5.744.532,00 euro, la società aveva conseguito un utile di 97.125,00 euro, con una percentuale di incidenza sui ricavi dell’1,69 per cento. Per la Cassazione – che aveva condiviso le conclusioni cui giunsero i giudici tributari di merito – tale dato risultava sufficiente per giustificare la presunzione non antieconomicità del comportamento tenuto dal contribuente. Pertanto era quest’ultimo a dover dimostrarne la regolarità.