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Indennizzo dovuto per il deprezzamento dell’area vicina alla “fascia di rispetto” stradale espropriata

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In materia di espropriazione per pubblica utilità, nel caso in cui, per effetto della realizzazione o dell’ampliamento di una strada pubblica (nella specie, di una autostrada), il privato debba subire nella sua proprietà la creazione o l’avanzamento della relativa fascia di rispetto, quest’ultima si traduce in un vincolo assoluto di inedificabilità che di per sé non è indennizzabile, ma che non esclude il diritto del proprietario di essere indennizzato per il deprezzamento dell’area residua. In sede di determinazione di tale indennizzo, si computano le singole perdite inerenti alla citata area residua, quando risultino alterate le possibilità di utilizzazione della stessa e anche per la perdita della capacità edificatoria realizzabile sulle più ridotte superfici rimaste: lo ha affermato la prima sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza 29 aprile 2019, n. 10747, depositata lo scorso 5 giugno.

I giudici di legittimità, in particolare, non hanno condiviso la tesi secondo cui la fascia di rispetto stradale e autostradale avrebbe l’effetto di imporre un semplice obbligo di distanza, al fine di impedire la realizzazione di manufatti edilizi all’interno della predetta fascia e di favorire e garantire la sicurezza della circolazione sulle strade e nelle immediate vicinanze. Nella pronuncia in commento la Corte ha invece ritenuto di dare continuità al diverso orientamento secondo cui il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale o autostradale si traduce in un divieto assoluto di edificazione che le rende legalmente inedificabili, trattandosi di limitazioni costituzionalmente legittime, in quanto concernenti la generalità dei cittadini proprietari di determinati beni individuati a priori per categoria e localizzazione, espressione del potere conformativo della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 42 della Costituzione (Cass. nn. 14632/2018, 13516 e 25668/2015, 27114/2013 e 5875/2012; Consiglio di Stato nn. 90/2018, 347/2015, 2062/2013 e 4432/2012).

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