Impugnabile il diniego di sgravio
Secondo un consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, in applicazione di una interpretazione estensiva dell’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, si ritiene sia impugnabile dinanzi al giudice tributario anche il diniego di sgravio, quale atto comunque incidente su rapporti tributari tra Amministrazione e contribuente, in grado di incidere negativamente sulla posizione giuridica di quest’ultimo: tale principio è stato affermato dalla quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione con la sentenza 22 gennaio 2020, n. 8719, depositata lo scorso 11 maggio (in questo senso si segnalano anche Cass. 28 luglio 2020, n. 285, e 22 luglio 2011, n. 16100). Per i giudici di legittimità, inoltre, l’impugnazione del divieto di sgravio di ruoli portanti crediti prescritti è il modo tipico per innestare, in tale tipo di processo, la domanda di accertamento dell’avvenuto compimento della prescrizione dei crediti il cui recupero sia stato affidato all’agente della riscossione.
Si ricorda che in linea generale, per la Suprema Corte, l’elenco degli atti impugnabili contenuto nell’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, pur avendo natura tassativa, non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, con i quali l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria (Cass. 30 gennaio 2020, n. 2144). Infatti, la tassatività deve intendersi riferita non ai singoli provvedimenti nominativamente indicati, ma alle categorie a cui questi ultimi sono astrattamente riconducibili, nelle quali vanno ricompresi gli atti atipici o con “nomen iuris” diversi da quelli indicati, che però producono gli stessi effetti giuridici, ed anche gli atti prodromici degli atti impositivi, sicché è da ritenersi impugnabile, quale diniego di agevolazione, l’atto di diniego parziale di estinzione di tributi iscritti a ruolo, essendo immediatamente lesivo dei diritti del contribuente.
Con la sentenza 11 marzo 2020, n. 6839, infine, la Suprema Corte aveva affermato l’impugnabilità di tutti quegli atti attraverso i quali l’Amministrazione fiscale comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento, sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto. A tal fine non assume alcun rilievo la mancanza della formale dizione “avviso di liquidazione” o “avviso di pagamento” o la mancata indicazione del termine o delle forme da osservare per l’impugnazione o della commissione tributaria competente, le quali possono dar luogo soltanto ad un vizio dell’atto o renderlo inidoneo a far decorrere il predetto termine o anche giustificare la rimessione in termini del contribuente per errore scusabile.