Sanzioni applicabili anche se il Fisco non prova il dolo o la colpa del contribuente
In materia di sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie, ai fini dell’affermazione di responsabilità del contribuente è sufficiente una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra la dimostrazione da parte dell’Amministrazione fiscale del dolo o della colpa o di un intento fraudolento: secondo un costante orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, l’art. 5 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 pone una presunzione di colpa a carico del soggetto che ha commesso l’irregolarità fiscale (in tal senso si segnala la pronuncia della Corte di Cassazione 13 settembre 2018, n. 22329).
Neppure si può dire – sostengono gli Ermellini – che l’accesso al ravvedimento operoso rappresenti un elemento idoneo a comprovare l’assenza dell’elemento soggettivo in capo al contribuente: si tratta invero di un istituto che implica, al contrario, proprio il riconoscimento della violazione e della ricorrenza dei presupposti di applicabilità della sanzione (Cass. 30 marzo 2016, n. 6108).
Tali principi sono stati ora confermati dalla quinta sezione tributaria della Suprema Corte con l’ordinanza n. 12520/2019, depositata lo scorso 10 maggio.