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La rinuncia al ricorso per Cassazione non richiede l’accettazione della controparte

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La rinunzia al ricorso per cassazione non richiede l’accettazione della controparte, non avendo carattere “accettizio”: tale principio, già affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 28675/2005), è stato ora confermato dalla quinta sezione tributaria della Suprema Corte con la sentenza 7 febbraio 2019, n. 11033, depositata lo scorso 19 aprile.

Nell’occasione è stato inoltre sottolineato che tale rinuncia, determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, comporta il conseguente venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione; rimane comunque salva la condanna del rinunciante alle spese del giudizio (in tal senso si segnalano le pronunce nn. 23840/2008 e 3971/2015).

In linea generale, la giurisprudenza ritiene che la cessazione della materia del contendere presupponga che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conformi conclusioni in tal senso (Corte di Cassazione nn. 16886/2015, 11813/2016, 23289/2007 e 21059/2018).

Peraltro, anche in assenza di conclusioni condivise, il giudice può comunque rilevare la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione sulla impugnazione, venendo in conseguenza a realizzarsi la fattispecie estintiva di quel giudizio.

Infatti – osservano i giudici di legittimità – l’assenza di interesse ad agire, richiesto per qualsiasi domanda dall’art. 100 del codice di procedura civile, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, perché costituisce un requisito per la trattazione del merito della domanda.

Si ricorda che ai sensi dell’art. 46 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (“Estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere”):

  1. il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere;
  2. la cessazione della materia del contendere è dichiarata con decreto del Presidente o con sentenza della Commissione;
  3. avverso il provvedimento presidenziale può essere presentato reclamo ai sensi dell’art. 28 del citato D.Lgs. n. 546/1992.

La norma conteneva anche un terzo comma, per effetto del quale nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate: tale disposizione è stata peraltro dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con la sentenza 4-12 luglio 2005, n. 274, “nella parte in cui si riferisce alle ipotesi di cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge”.

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