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La “fattura bivalente” per le vendite a distanza in ambito intra-UE

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La normativa in materia di IVA prevede un regime particolare per le vendite effettuate, in ambito intracomunitario e nei confronti di “privati consumatori”, in base a cataloghi, per corrispondenza e simili, alle quali sono riconducibili le operazioni del cd. “commercio elettronico indiretto”.

Trova, infatti, applicazione il principio di tassazione nel Paese di destinazione a condizione che le “vendite a distanza” siano effettuate da un operatore che ha superato una predeterminata soglia annua verso lo specifico Paese membro; in caso contrario, l’IVA è dovuta nel Paese di origine, cioè in quello del cedente, salvo l’opzione per la tassazione nel Paese di destinazione.

La finalità dell’imposizione nel Paese di arrivo, anziché in quello di partenza è duplice, essendo diretta, da un lato, ad evitare che, per i beni venduti tramite la particolare modalità del commercio a distanza, gli acquisti dei privati consumatori siano deviati a favore dei Paesi membri che applicano aliquote più basse e, dall’altro, ad assicurare condizioni eque di concorrenza tra i Paesi membri (risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 25 settembre 2012, n. 90).

In base all’articolo 40, comma 4, lett. b), del D.L. n. 331/1993, il regime in esame presuppone che le cessioni effettuate in Italia siano superiori, nell’anno precedente e/o nell’anno in corso, a 35.000,00 euro, mentre l’articolo 41, comma 1, lett. b), del D.L. n. 331/1993 dispone che le cessioni effettuate in altro Paese membro devono essere superiori, nell’anno precedente e/o nell’anno in corso, a 100.000,00 euro, ovvero all’eventuale minore ammontare stabilito da tale Paese a norma dell’articolo 34 della Direttiva n. 2006/112/CE.

Ai fini della tassazione nel Paese di destinazione, l’articolo 33, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE dispone che si considera come luogo impositivo, se i beni sono spediti o trasportati dal fornitore o per suo conto, quello in cui i beni si trovano al momento d’arrivo della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente. La norma di interpretazione autentica contenuta nel primo comma dell’articolo 11-quater del D.L. n. 35/2005, aggiunto in sede di conversione nella L. n. 80/2005, ha chiarito che la locuzione “cessioni in base a cataloghi, per corrispondenza e simili”, prevista nella normativa nazionale, deve intendersi riferita alle cessioni di beni con trasporto a destinazione da parte del cedente o per suo conto, a nulla rilevando le modalità di effettuazione dell’ordine di acquisto (si vedano anche la circolare dell’Agenzia delle Entrate 13 giugno 2006, n. 20, § 3 e la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 31 marzo 2005, n. 39). Secondo il Comitato IVA, ai fini dell’applicazione dell’IVA nel Paese membro di destinazione, previsto per le cd. “vendite a distanza”, il trasporto deve intendersi effettuato per conto del fornitore non solo quando il cedente interviene direttamente o per mezzo di un vettore nel trasporto, ma anche quando egli interviene indirettamente – per esempio promuovendo attivamente, suggerendo o consigliando al cessionario un determinato vettore – pur non concludendo il contratto di trasporto con il vettore e pur non sostenendo i costi di trasporto (WP n. 855 del 5 maggio 2015).

L’analisi della disciplina deve essere completata osservando che le cessioni in esame, se hanno per oggetto prodotti soggetti ad accisa destinati a privati consumatori di altri Paesi membri, sono territorialmente rilevanti nel Paese di destinazione, se il trasporto o la spedizione è effettuato dal cedente o per suo conto, ovvero nel Paese di origine, se il trasporto o la spedizione è effettuato dal cessionario o per suo conto. Il trattamento indicato, confermato dalla risposta fornita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze all’interrogazione parlamentare n. 5-05068 del 19 marzo 2015, discende dagli articoli 32, 33 e 34 della Direttiva n. 2006/112/CE, alla luce dei quali deve essere interpretata l’eccezione prevista dalla norma nazionale per i “beni diversi da quelli soggetti ad accisa”; in pratica, la deroga stabilita dal citato articolo 41, comma 1, lett. b), del D.L. n. 331/1993 per i suddetti beni deve essere intesa nel senso che solo per questi ultimi si applica la soglia di 100.000,00 euro (o la minore soglia stabilita dal Paese di destinazione) ai fini dell’individuazione del luogo impositivo.

Per quanto riguarda le modalità di fatturazione delle vendita a distanza “sopra-soglia”, fermo restando che il cedente nazionale deve identificarsi ai fini IVA nel singolo Paese membro per rendere imponibile la cessione, l’operazione – sotto il profilo dell’IVA italiana – è non imponibile ai sensi dell’articolo 41, comma 1, lett. b), del D.L. n. 331/1993, mentre – sotto il profilo dell’IVA del Paese del cessionario – è un’operazione interna, con conseguente obbligo di applicazione dell’IVA locale.

Si ritiene possibile emettere un’unica fattura idonea a soddisfare la normativa di entrambi i Paesi considerati (Italia e Paese del consumatore finale). Il documento, da redigere nel rispetto del “contenuto minimo obbligatorio” di cui all’articolo 226 della Direttiva n. 2006/112/CE, deve recare l’indicazione, in luogo dell’ammontare dell’imposta italiana, del titolo di non imponibilità e dell’imposta estera. Occorre, inoltre, adottare una numerazione distinta e, ai fini italiani, un distinto registro delle fatture emesse o un suo sezionale.

Nell’ipotesi considerata, il fornitore nazionale emette la fattura in triplice copia, di cui una per il cliente e una per la posizione IVA locale, e – come indicato dalla C.M. 23 febbraio 1994, n. 13-VII-15-464 (§ B.2.1) – presenta il modello INTRA 1-bis ai fini fiscali e ai fini statistici, in relazione al periodo in cui la fattura è registrata o soggetta a registrazione, senza compilare la colonna 3 (codice IVA dell’acquirente).

In caso di vendita a distanza di prodotti soggetti ad accisa, l’impresa italiana deve anche curare il pagamento dell’accisa eventualmente dovuta nel Paese estero, la quale concorre a formare la base imponibile dell’operazione (sia ai fini dell’IVA italiana che ai fini dell’IVA del Paese estero).

Da ultimo, si rileva che, siccome i beni partono dall’Italia con diretta destinazione al cliente estero, l’operazione non dà luogo ad un trasferimento a “sé stessi”; la merce, infatti, è già venduta e pagata e, ai fini della non imponibilità, le vendite a distanza sono espressamente disciplinate dall’articolo 41, comma 1, lett. b), del D.L. n. 331/1993 e non dall’articolo 41, comma 2, lett. c), dello stesso decreto, specificamente riferito ai trasferimenti cd. “senza vendita”, cioè per esigenza della propria impresa.

Diverso sarebbe il caso in cui la merce fosse inviata presso un deposito estero per essere successivamente venduta; in tale ipotesi, si resta al di fuori della disciplina delle vendite a distanza e l’operazione complessivamente posta in essere si compone di un trasferimento “a sé stessi” seguito da una cessione interna al Paese estero.

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