Studio associato: il riaddebito dei costi ai collaboratori non è automatico
I titolari di uno Studio Associato che si avvalgono di collaboratori esterni, che fatturano la propria attività di consulenza, non sono tenuti a riaddebitare agli stessi una quota delle spese generali (es. affitto, utenze, ecc.), poiché manca un rapporto paritetico, di colleganza, tra lo studio legale e i collaboratori, i quali semplicemente soggiacciono alle direttive dei domini alle dipendenze dei quali operano percependo un compenso. Questo l’importante chiarimento reso dalla Cassazione con la recente ordinanza n. 4662 del 21 febbraio 2025.
Nella fattispecie analizzata l’Agenzia contestava ad uno studio associato di avvocati:
- la soggettività passiva ai fini IRAP,
- l’indeducibilità del canone di locazione dell’immobile, corrisposto ad un’immobiliare di proprietà degli associati, ritenuto abnorme;
- il mancato riaddebito ai collaboratori di studio (giovani laureati in giurisprudenza) delle quote a loro riferibili di canone di locazione e spese generali.
La Cassazione concorda sul primo punto, mentre cassa l’interpretazione del Fisco sugli ulteriori elementi precisando che:
- l’Amministrazione finanziaria non può sindacare le valutazioni dei contribuenti in merito alle modalità con cui acquisire l’utilizzo dell’immobile (ciò anche nel caso in cui, in base alla normativa vigente, sarebbe stato indeducibile la stipula diretta del contratto di leasing da parte dello studio associato);
- l’utilizzo da parte di uno studio associato di opera retribuita erogata da collaboratori e giovani laureati, i quali non svolgono alcuna attività effettivamente autonoma, non implica la necessità di ripartire le spese di uno studio comune: nessuna struttura è infatti comune ai collaboratori/giovani laureati, utilizzando costoro una struttura che è di altri i cui costi vanno sopportati esclusivamente da altri e conseguentemente dedotti dagli stessi.