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Note di variazione in aumento: la decadenza dell’accordo non fa scattare l’obbligo di emissione

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In caso di sopravvenuta inefficacia di un accordo transattivo stipulato nell’ambito di un piano attestato di risanamento ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. d), del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (“legge fallimentare”) Legge fall., con conseguente reviviscenza del debito originario, a fronte del “mancato pagamento del corrispettivo” da parte del cessionario/committente, non sussiste un obbligo di emissione da parte del cedente/prestatore di una nota di debito ai fini IVA ex art. 26, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, a rettifica delle variazioni in diminuzione precedentemente operate ai sensi dell’art. 26, comma 2, del medesimo Decreto “IVA”.

Questo perché, nelle ipotesi di piani di risanamento ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. d), L. fall., attestati pubblicati nel registro delle imprese, emerge la volontà del legislatore di non costringere i cedenti/prestatori, che si siano avvalsi della facoltà di emettere una nota di variazione in diminuzione, ad effettuare una variazione in aumento per la medesima operazione, se non a fronte del successivo pagamento, in tutto o in parte, del relativo corrispettivo.

Pagamento non avvenuto nel caso di specie analizzato dall’Agenzia delle Entrate con la Risposta n. 359/2023.

L’art. 18 del D.L. 25 maggio 2021, n. 73 (Decreto “Sostegni-bis”) ha introdotto modifiche sostanziali alla disciplina delle variazioni in diminuzione dell’imponibile IVA o dell’imposta dovuta recata dall’art. 26 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633 (d’ora in avanti anche Decreto “IVA”), disponendo che nel caso di mancato pagamento del corrispettivo connesso a procedure concorsuali non si debba più attendere la conclusione delle stesse; tale modifica incide, conseguentemente, sul diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente a dette variazioni.

Il testo previgente del citato art. 26 prevedeva la facoltà, in capo al cedente/prestatore, di rettificare in diminuzione l’imposta applicata quando:

  • l’operazione veniva meno o
  • se ne riduceva l’ammontare imponibile in conseguenza di mancato pagamento comprovato da procedure esecutive individuali o procedure concorsuali rimaste infruttuose (con la definitiva conclusione delle procedure stesse), da accordi di ristrutturazione dei debiti omologati ai sensi dell’art. 182-bis del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (Legge fallimentare) o piani attestati ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. d), della Legge fallimentare.

Tale versione dell’art. 26 era stata, tuttavia, censurata dalla Corte di Giustizia UE a causa dell’eccessiva durata delle procedure concorsuali, al cui esito infruttuoso era subordinato il diritto alla detrazione dell’imposta non incassata (cfr. sentenza 23 novembre 2017, causa C-246/16 – Sentenza Di Maura).

Con specifico riferimento alle ipotesi contemplate dall’attuale art. 26, comma 3-bis, del Decreto “IVA” e, dunque, “in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente” quando questi è assoggettato a una delle procedure indicate nelle successive lettere a) e b) del medesimo comma, emerge:

  • la possibilità per il cedente/prestatore di effettuare la variazione in diminuzione «dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell’art. 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267» [si veda il citato comma 3-bis, lettera a)];
  • che “l’obbligo di registrazione della variazione, in rettifica della detrazione originariamente operata, permanga, in capo al cessionario/committente” considerato che tali istituti [ossia, gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis ed i piani attestati ex art. 67, comma 3, lett. d), L. fall. (ora anche art. 56 del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14)], “non sono qualificabili come procedure concorsuali in senso stretto, in quanto mancano sia del carattere della “concorsualità”, sia di quello dell’”ufficialità”.
  • che cedente/prestatore, pertanto, può portare in detrazione l’IVA, nella misura esposta nella nota di variazione, mentre la controparte è tenuta a ridurre in pari misura la detrazione che aveva effettuato, riversando l’imposta all’Erario.” (cfr. circolare n. 12/E del 2016, paragrafo 13.2, e circolare n. 20/E del 2021, paragrafo 4).

Il nuovo comma 5-bis dell’art. 26 del Decreto “IVA”, inoltre, prevede che “nel caso in cui, successivamente agli eventi di cui al comma 3-bis ”, e quindi successivamente all’emissione della nota di variazione in diminuzione, “il corrispettivo sia pagato, in tutto o in parte, si applica la disposizione di cui al comma 1”, ossia l’obbligo di emettere una nota di variazione in aumento. “In tal caso, il cessionario o committente che abbia assolto all’obbligo di cui al comma 5 ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione in aumento” (si veda la circolare n. 20/E del 2021).

Detto ciò, nelle ipotesi di piani attestati pubblicati nel registro delle imprese, emerge la volontà del legislatore di non costringere i cedenti/prestatori, che si siano avvalsi della facoltà di emettere una nota di variazione in diminuzione, ad effettuare una variazione in aumento per la medesima operazione, se non a fronte del successivo pagamento, in tutto o in parte, del relativo corrispettivo (che nel caso di specie non è avvenuto).

In considerazione del mancato pagamento, l’obbligazione iniziale rimane inadempiuta e l’eventuale risoluzione dell’accordo raggiunto in base al piano non muta tale aspetto.

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