Mutui: il variabile è più oneroso del fisso; quali possibili scelte future?
Con l’Euribor al 2,57% e il tasso Eurirs a 30 anni al 2,37%, il mutuo variabile a parità di spread costa di più: non accadeva da 14 anni, in particolare dal 2008.
Il 2023 è un anno complesso per coloro che sottoscrivono un contratto di mutuo. La Banca centrale europea ha alzato i tassi di 50 punti base a febbraio, annunciando una pari stretta in quello di marzo. Tra qualche settimana gli Euribor 3 mesi, che oggi si attestano al 2,57%, dovrebbero raggiungere la soglia del 3% allineandosi alla soglia a cui dovrebbe approdare il tasso sui depositi della Bce a marzo. Lo scorso anno di questi tempi si attestava ancora a tassi negativi, -0,5% circa, che andava quindi sottratto, anziché sommato, allo spread della banca.
Gli effetti e le possibili scelte
Tasso sui depositi e mutui | Gli Euribor incidono sulla rata a tasso variabile dei mutuatari; essi sono agganciati al tasso sui depositi, che è più basso di 50 punti base rispetto all’altro tasso manovrato dalla Bce, quello di rifinanziamento principale, proiettato al 3,5%.
Da qualche settimana l’Euribor a 3 mesi è più in alto rispetto all’Eurirs 30 anni (2,37%). Di conseguenza, a parità di spread applicato dalle banche, il variabile costa più del fisso in partenza. L’ultima volta in cui è successo è stato nel 2008. I mutuatari potrebbero sfruttare l’anomalìa che oggi, come nel 2008, si è ripresentata: i tassi a breve (Euribor) superano quelli a lunga (Eurirs) quando il mercato dei futures e delle obbligazioni anticipa l’arrivo della recessione. E (quando) se arriva la recessione i tassi a breve vengono poi tagliati dalle banche centrali proprio per andare nuovamente a sostenere un’economia in difficoltà. Chi ha sposato questo ragionamento nel 2008 scegliendo allora un variabile che costava più del fisso ha avuto ragione. Perché di lì a qualche trimestre i tassi sono scesi e con essi le rate del loro mutuo. Per questo motivo c’è chi inizia a pensare che anche nel 2023 qualche aspirante mutuatario (o qualche mutuatario che sta valutando una surroga) possa optare per la scelta, sulla carta più aggressiva e rischiosa, di sposare il tasso variabile. Prima o poi i prezzi (e anche i tassi) fanno ritorno alla media. Di conseguenza quando si allontanano troppo dalla media, a tal punto che il variabile costa più del fisso sfidando le leggi del rapporto rischio/rendimento, il mercato inizia a popolarsi di persone coraggiose, che vanno contro la massa. Quei coraggiosi potrebbero essere coloro che, mentre tutti scappano e si rifugiano su un fisso al 4%, scelgono di sposare la volatilità degli Euribor anziché bloccare un Eurirs comunque plafonato sui massimi degli ultimi 9 anni. Ovviamente i mutuatari variabili devono poter sostenree finanziariamente i mutui che sottoscrivono e quindi ai rischi a cui si espongono se i tassi andassero a convergere verso i livelli americani, rispetto alla certezza che dà un tasso fisso. L’alternativa – C’è anche un’altra strada, forse più prudente. Partire col fisso (e proteggersi nel frattempo dal cigno nero rappresentato da una seconda più violenta ondata di inflazione in stile anni ’70) e poi, quando il quadro dei mutui migliora e quello economico peggiorerà (economia in recessione) effettuare una surroga a tasso variabile. Confidando però che nel frattempo le banche non aumentino gli spread sull’opzione che a quel punto diventerebbe la più gettonata. |
Mercato dei future | Il mercato dei future ad oggi ipotizza un picco degli Euribor al 3,4% per fine anno e poi una discesa nel 2024-2025 sotto il 2,5%. |
Tasso FED | La Fed ha abbassato i toni delle strette ed è ragionevole supporre che tra Usa ed Eurozona ci sia un differenziale di tasso intorno a 150-200 punti base. Di conseguenza è macroeconomicamente poco attendibile uno scenario in cui, se per ipotesi la Fed si dovesse fermare al 5 o 5,5%, la Bce la agganci. |