Dalla Cassazione chiarimenti sui rapporti tra gli articoli 87-bis e 103 della legge fallimentare
Il provvedimento di rigetto reso ai sensi dell’art. 87-bis della legge fallimentare non preclude la possibilità di ottenere la medesima tutela nella diversa sede della verifica del passivo, tramite la domanda di cui all’art. 103 della legge fallimentare, e pertanto non ha attitudine ad acquistare efficacia di giudicato (endofallimentare) in ordine all’insussistenza del diritto reale o personale vantato dall’istante sui beni di cui chiede la restituzione: lo ha precisato la sezione tributaria della Corte di Cassazione con la sentenza 14 settembre 2022, n. 31083 , depositata lo scorso 20 ottobre (in questo senso si richiama anche Cass. 23 aprile 2021, n. 10833).
Per i giudici di legittimità, infatti, il richiamato art. 87-bis della legge fallimentare mira soltanto a una semplificazione della procedura, quando si tratti non già di accertare un credito ma di restituire un bene mobile su cui il diritto sia “chiaramente riconoscibile” e previo il parere dei creditori; la decisione negativa pertanto non incide sul riconoscimento del diritto, poiché il richiedente potrà attivare il procedimento previsto dall’art. 103 della medesima legge – astrattamente ammissibile anche per i beni fungibili con restituzione di cose dello stesso genere, quantità e qualità per equivalente (Cass. n. 436/2022) – con le conseguenze che ne derivano sul piano degli accertamenti probatori.
In altre parole, il provvedimento che non nega il diritto, ma nega (solo) la restituzione del bene in via breve sul presupposto della non chiara riconoscibilità del diritto stesso, non ha valenza decisoria, perché non preclude comunque al richiedente di ottenere quanto richiesto previa una istruttoria più approfondita.