Operazioni oggettivamente inesistenti, non occorre la prova della mala fede
L’Amministrazione finanziaria che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo: lo ha affermato la quinta sezione tributaria della Corte di Cassazione con l’ordinanza 11 giugno 2021, n. 21735, depositata lo scorso 29 luglio (in questo senso si richiama anche Cass. 14 settembre 2016, n. 18118).
Si ricorda che, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in materia di inesistenza soggettiva delle operazioni rileva l’elemento soggettivo del contribuente che ha effettuato la detrazione Iva: in tale contesto il Fisco deve tener conto della consapevolezza o meno da parte di tale soggetto di rientrare in una frode fiscale. Sotto il profilo Iva, rileva l’art. 21, settimo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ai sensi del quale la prova dell’inesistenza dell’operazione esclude la possibilità per il cessionario/committente di portare in detrazione il tributo, il quale dev’essere comunque versato dal cedente/commissionario.